la discussione attorno al progetto di legge di iniziativa popolare, presentato dal Comitato Coscioni, sul tema del “fine vita” ha dominato il dibattito pubblico di queste settimane, dentro e fuori il Consiglio regionale.
In premessa devo dire che giudico ingenerosa l’immagine che ne è emersa del gruppo regionale e del nostro partito. Non mi è piaciuta la strumentalizzazione, che alcuni hanno praticato, di questo passaggio delicato.
Come Consiglieri regionali abbiamo cercato di mettere in campo, fin dal primo momento, un percorso di approfondimento, che potesse essere utile al reciproco riconoscimento e rispetto, percorso che ha coinvolto il partito regionale e nazionale ma anche il Forum Sanità del PD Veneto.
Sapevamo che le nostre riflessioni dovevano muoversi nel perimetro definito dalla competenza di materia regionale e dalle indicazioni della sentenza della Corte costituzionale del 2019.
Ma questo passaggio, molto tecnico sul piano formale, ci obbligava anche a chiederci se i principi indicati dalla Corte (diritto alla dignità della persona, diritto all’autodeterminazione, libertà personale) siano o possano essere definiti anche attraverso la procedura medicalizzata del suicidio quale prestazione erogata dal sistema sanitario pubblico.
Per queste ragioni abbiamo riconosciuto e difeso la libertà di coscienza che una collega ha richiesto, ed esercitato.
Rimanere intrappolati nel dibattito sulla legittimità di questo voto, complice anche la discussione nazionale, ci ha impedito di affrontare, a mio giudizio, la vera questione che avevamo di fronte, e cioè se la politica sia o meno capace di regolare per via normativa i problemi sul fine vita.
La destra ha dato una risposta chiara: no, malgrado Zaia.
Di fronte al bisogno incomprimibile delle persone di poter vivere con dignità e libertà anche l’ultimo atto della propria esistenza, io penso avremmo dovuto offrire una risposta diversa da quella della destra.
Avremmo dovuto garantire, con serietà e coerenza, una soluzione chiara, assumendo come determinante l’impegno alla cura sempre e contrastando la cultura dello scarto e dell’abbandono, senza chiudere mai gli occhi di fronte a situazioni di solitudine o povertà, economica e sociale.
E, avremmo dovuto farlo, assicurando, qualora se ne presenti la drammatica necessità, una fine senza dolore e rispettosa delle volontà e della dignità delle persone.
Sapendo che il diritto alla vita, come primo tra i diritti inviolabili dell’uomo, va tutelato sempre, ma ancor più quando si è più fragili, più vulnerabili, più sofferenti.
Per queste ragioni, pur rispettando la libertà di coscienza di Annamaria Bigon, le abbiamo chiesto di farsi carico anche della terribile necessità umana di quelle persone che si trovano nei casi limite definiti dalla sentenza, con malattia terminale e sofferenze intollerabili, e che, in coscienza, ci chiedono, con decisione libera e consapevole, di essere tutelate e rispettate fino alla fine.
Per questo non ho condiviso la decisione della collega, pur rispettandola e riconoscendone la legittimità.
Per questo, pur non chiedendo o proponendo mai sanzioni, che sarebbero ingiustificate, ritengo sia stato un errore politico grave affossare un progetto di legge su cui il Partito, e il Gruppo consiliare, avevano creduto.
Ora, con i chiarimenti che saranno necessari, intendiamo proseguire il nostro impegno su questo fronte, depositando un Progetto di legge statale sul fine vita, una Mozione che impegna alla Giunta regionale ad adottare una delibera che definisca le procedure per l’erogazione della prestazione del suicidio medicalmente assistito e una richiesta alla competente commissione per la ricalendarizzazione del progetto di legge popolare.
Qui puoi leggere il testo del nostro progetto di legge statale e della mozione.
Qui puoi ascoltare il mio intervento in Consiglio Regionale.