Il Veneto, in ambito sanitario, detiene un primato in negativo decisamente preoccupante.
Secondo i dati elaborati e diffusi recentemente da Agenas, emerge che, a fronte di 1.417.000 accessi nei Pronto Soccorso nel 2023, il 54,99% di questi è stato classificato come un codice bianco. Un’anomalia che non trova riscontri nelle altre regioni e che si traduce in una spesa significativa per i cittadini.
Il divario tra il Veneto e gli altri territori è abissale.

Questo divario, tuttavia, si annulla se guardiamo alla sommatoria tra codici bianchi e verdi: il Veneto, pur rimanendo sempre ai primi posti per accessi non urgenti, con il 74,80%, risulta in linea con il 75,28% della Lombardia o con il 65,15% dell’Emilia-Romagna.
Il problema, dunque, è direttamente legato al “prezzo” del servizio. Mentre per i codici verdi i cittadini non pagano, per quelli bianchi il costo fisso è di 25 euro, salvo esenzioni, più il ticket per le prestazioni specialistiche ambulatoriali eventualmente prescritte a carico del cittadino.

E non è un caso se sono proprio i ricavi dai ticket nei Pronto Soccorso a segnare il divario più grande tra il Veneto e le altre regioni. A fronte di un incasso di quasi 34 milioni di euro a livello nazionale, ben 14.376.257 vengono dal solo Veneto (dati Agenas, anno 2022).
Abbiamo avanzato, come Gruppo regionale, alcune specifiche proposte.

Rimangono, sullo sfondo, i problemi strutturali del sistema che determinano il contingentamento dei Pronto Soccorso.
Le liste d’attesa rappresentano un’emergenza ancora irrisolta, tanto che i cittadini spesso preferiscono un’estenuante attesa al Pronto Soccorso piuttosto che aspettare mesi per una visita specialistica.
E poi la carenza dei medici di famiglia, che dovrebbero svolgere un’indispensabile funzione di filtro e contenimento degli accessi al Pronto Soccorso. Secondo gli ultimi dati regionali disponibili, sono 650 le zone carenti in Veneto. Nonostante l’aumento del massimale degli assistiti e l’impegno dei professionisti, migliaia di cittadini faticano ad accedere a questo insostituibile servizio, essendo costretti a rivolgersi all’emergenza-urgenza. E la prospettiva non lascia spazio a margini di miglioramento: secondo la nostra ricerca, tra il 2021 e il 2035 saranno 1.921 i medici che andranno in pensione. Serve dunque un cambio di rotta urgente per conservare la dotazione organica attuale e, se possibile, aumentarla.
