La pandemia ha travolto la vita di tutti e anche la politica, nazionale e locale, ha dovuto affrontare questo drammatico evento, spesso impreparata a gestirne gli aspetti emergenziali e, in taluni casi, incapace di comprenderne in profondità le implicazioni.
Oggi però che il Covid, perlomeno nelle sue caratteristiche più letali, sembra essere alle nostre spalle, credo sia compito di tutti, a partire proprio dalle istituzioni, comprendere ciò che è avvenuto e giudicare le scelte assunte, metterne a fuoco limiti e contraddizioni.
La magistratura, a partire da quella bergamasca, ha il difficile compito di valutare le eventuali responsabilità penali individuali e di giudicare se qualcuno, con dolo, non ha fatto ciò che doveva. Si tratta di un processo delicato e complesso, che parte dalla legittima aspettativa dei familiari delle vittime di sapere se la sofferenza o la morte dei loro cari poteva essere evitata. Credo dovremmo guardare con rispetto a questo percorso, senza strumentalizzare e senza cedere alla tentazione di facili semplificazioni.
Al contempo, però, dobbiamo anche sforzarci di comprendere, e valutare, ciò che è accaduto, sapendo quanto difficili fossero le scelte e alte le responsabilità ma sapendo anche che i cittadini meritano sempre risposte e verità.
Sappiamo che non c’era un “manuale di istruzioni” per maneggiare il virus quando a febbraio 2020 arriva in Italia e in Veneto, ma al contempo è evidente che l’esperienza dolorosa della prima ondata ci ha consentito di poter affrontare i mesi successivi in condizioni profondamente diverse.
Il margine di errore, il livello di conoscenze, e il contesto generale, tra la prima e la seconda ondata, infatti, sono profondamente differenti.
Da aprile 2020 avevamo a disposizione algoritmi molto attendibili che erano in grado di prevedere con una buona approssimazione l’andamento dei contagi, il personale medico ed infermieristico era in numero maggiore e più preparato di fronte alla malattia, l’iniziale carenza di DPI era decisamente superata, avevamo in abbondanza i tamponi per lo screening ed era cominciata la grande campagna vaccinale.
Eppure, in Veneto, nella seconda ondata, malgrado queste condizioni oggettive di partenza, è accaduto qualcosa di drammaticamente straordinario, incomprensibile rispetto alla quantità di informazioni di cui si disponeva rispetto a soli pochi mesi prima.
Tra pochi giorni il Consiglio regionale sarà chiamato a discutere esattamente di questo.
In occasione della presentazione delle relazioni conclusive della Commissione d’inchiesta sulla seconda ondata di Covid in Veneto dovremo fare ciò che è dovuto ai cittadini di questa regione e spiegare come mai, da ottobre a marzo, in Veneto siano morte per Covid 8.282 persone, una cifra impressionante che non può essere liquidata come normale.
Non sarà un Tribunale e non verranno emesse sentenze. Ma è necessario fare chiarezza.
Perché se è indiscutibilmente difficile assumere decisioni complesse in scenari inediti, è sbagliato pensare di potersi sottrarre a questo tipo di confronto. A maggior ragione se durante tutta la pandemia il Presidente del Veneto Luca Zaia ha rivendicato la paternità e assunto la responsabilità delle decisioni, sapendo che scienza e scienziati possono essere di supporto con competenze tecniche e valutazioni oggettive ma che l’ultima parola è sempre spettata alla politica.