Solo negli ultimi dieci giorni sono sette le donne uccise in Italia. E dei 199 delitti commessi da gennaio a oggi, 83 sono femminicidi, con 70 donne uccise in ambito familiare o affettivo, di cui 50 hanno trovato la morte per mano del partner o di un ex marito o compagno.
Siamo, dunque, un Paese in cui, mentre gli omicidi generici sono in netto calo, i crimini contro le donne continuano drammaticamente ad aumentare.
Bisogna allora dire la verità: il femminicidio in Italia è un fenomeno strutturale.
Perché dietro ogni mano che colpisce una donna c’è l’esito estremo di una cultura in cui la parità di genere non esiste, in cui donne e uomini sono storicamente diseguali, in cui l’umiliazione della donna è, di fatto, socialmente accettata.
Non siamo, dunque, di fronte ad una emergenza. Ma ad una violenza sistemica, legittimata nel tempo e nell’opinione pubblica.
Certo serve la repressione, certo serve rafforzare il sistema delle garanzie e della prevenzione. I centri antiviolenza e i tanti servizi territoriali, le forze dell’ordine, la magistratura, sono presidi fondamentali. Soprattutto perché quasi sempre l’assassinio di una donna non è un episodio isolato ma l’ultimo atto di una lunga serie di violenze e abusi, che può, quindi, essere interrotta per tempo.
Ma il femminicidio non può più essere trattato esclusivamente come una questione di ordine pubblico.
Chiara, Rita, Alessandra, le tre donne uccise a pochi giorni di distanza l’una dall’altra nella nostra Regione non sono solo casi di cronaca.
È urgente un cambiamento culturale, che parta dal contrasto fermo agli stereotipi di genere e alle diseguaglianze, sensibilizzando i media e l’opinione pubblica ma anche educando le ragazze e i ragazzi all’idea di parità.
Il cambiamento deve partire ora. Non si può più aspettare.
La mappa del 2021: ogni punto corrisponde a un femminicidio
