Il mio ricordo di Giorgio Napolitano in Consiglio regionale

È morto un grande italiano.
Un grande europeo, un grande uomo di sinistra al servizio delle istituzioni democratiche.

Giorgio Napolitano lascia un vuoto difficile da colmare, per il suo stile sobrio ed elegante, per il suo senso della misura, per il suo eloquio forbito e al tempo stesso limpido, per la sua capacità di dialogo con forze e culture politiche diverse.

Un non credente che sapeva parlare con personalità di autentica fede, come Giorgio La Pira e Gianfranco Ravasi, dopo esser passato, in età matura, attraverso la lettura di Blaise Pascal.

Un custode della Costituzione repubblicana e dell’unità d’Italia, che voleva protetta dagli egoismi separatisti, senza per questo rinunciare alle riforme da fare per ammodernare il sistema Paese, mettendo le istituzioni repubblicane – Parlamento e Governo in primis – al passo con i tempi.

Fu sostenitore della nascita di una Camera delle Regioni o delle Autonomie, così come del federalismo fiscale, in una visione che teneva insieme istanze territoriali, coesione nazionale e prospettiva comunitaria, tra popoli e persone che si riconoscono nei principi della libertà e della democrazia.

Primo dirigente comunista a parlare nelle università degli Stati Uniti d’America, ha tenuto ferma la collocazione atlantica dell’Italia, nel solco a suo tempo coraggiosamente e saggiamente tracciato dal segretario del PCI Enrico Berlinguer.

“La sua salda ispirazione europeista” – sono parole di Romano Prodi – lo ha portato anche nei tempi più recenti a spendere tutte le sue energie per una maggiore unità e integrazione tra i paesi dell’Unione. “Non c’è più spazio per le sovranità nazionali chiuse in sé stesse” – aveva ricordato anche negli ultimi anni. Dalla terribile lezione di due guerre mondiali aveva imparato che nazionalismi ed estremismi sono i peggiori nemici della pacifica convivenza tra i popoli. E che accoglienza e sicurezza oggi possono e debbono andare assieme.

Giorgio Napolitano era un riformista autentico, su cui non potevano avere alcun effetto le sirene del populismo. Non apprezzava – è un eufemismo – l’antipolitica e la fuga dalle responsabilità. Era rigoroso ed esigente: “preciso fino alla virgola” – come ha ricordato in questi giorni Pasquale Cascella, suo addetto-stampa al Quirinale.

Con la nostra regione Giorgio Napolitano aveva un legame particolare, che risaliva agli eventi tragici della Seconda guerra mondiale, quando fu costretto a lasciare la sua Napoli e trovare rifugio a casa di una zia, a Padova; qui frequentò il Liceo Classico Tito Livio nel 1941-42, conseguendo la maturità. Durante quei mesi – come egli stesso ha ricordato in un libro autobiografico – venne in contatto con importanti personaggi della cultura e dell’antifascismo.

Molti anni dopo, il 25 aprile 2008, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito la medaglia d’oro al Merito Civile a Mario Todesco, giovane professore di lettere assassinato dai fascisti, e affidato questa medaglia al Liceo Tito Livio, nel quale Todesco aveva insegnato.

Crediamo di non sbagliare nel leggere in quell’affidamento la convinzione che la scuola fosse, e debba continuare ad essere, presidio di democrazia e libertà, contro ogni forma di prevaricazione, violenza e intolleranza.

Dieci anni dopo, l’ormai ultranovantenne Presidente Emerito, intervistato nel corso di una popolare trasmissione televisiva, rivolse alle giovani generazioni un invito a leggere i principi fondamentali e la prima parte della Costituzione, a partire da quel titolo – Diritti e doveri dei cittadini – che costituisce un inscindibile binomio.

Così come non mancò di ricordare che nessuna conquista è mai scontata, e che le libertà di cui oggi godiamo sono il frutto del sacrificio di chi si oppose alla barbarie nazi-fascista.