Nelle istituzioni non può esserci spazio per i nostalgici e gli eredi del fascismo

L’Assessore regionale alla formazione, al lavoro e alle pari opportunità Elena Donazzan, nel corso di una nota trasmisisone radiofonica, ha cantato in diretta “faccetta nera”. Dopo questo increscioso episodio, in Consiglio regionale ho chiesto di censurare ogni comportamento che si richiami al fascismo.

Elena Donazzan ha un curriculum di tutto rispetto. Inizia da giovanissima nel Fronte della Gioventù, poi approda al MSI e ad AN, è vicina a Gianni Alemanno e siede in Consiglio regionale del Veneto dal 2000, in Giunta dal 2005.

Nel corso di una famosa trasmissione radiofonica, con una certa allegria, ha canticchiato “Faccetta nera”, la canzone del 1935 nata per celebrare la politica colonialista dell’era fascista e diventata simbolo della destra fascista italiana.

La prima reazione non può che essere di indignazione di fronte all’ennesimo sfregio alla storia, alla memoria condivisa e alla Costituzione Italiana. La denuncia pubblica di quanto accaduto, le richieste di dimissioni dal suo incarico istituzionale e la preoccupazione rispetto al ruolo che ricopre una persona di tale sub-cultura in Regione (la Donazzan si occupa di scuola e formazione) sono risposte tanto comprensibili quanto necessarie.

Credo, però, che questo fatto debba essere l’occasione per interrogarci anche più a fondo, su quale sia il terreno politico e culturale nel quale ci muoviamo quotidianamente, che non solo include Elena Donazzan e le sue uscite – questa è l’ultima di una lunga serie – ma che raccoglie molti altri segnali, magari meno folcloristici ma altrettanto gravi.

Perché la Donazzan è il sintomo di una malattia ben più grave. Si chiama fascismo e oggi, come 80 anni fa, non fa mistero di sé.

Certo, molte cose sono cambiate. Ora i fascisti si travestono da populisti, da “destra nazionalista” o da “fratelli d’Italia”. E insieme ad altre forze di destra e sovraniste siedono in Parlamento, all’interno di una pericolosa operazione di normalizzazione che sta anestetizzando gli anticorpi democratici del nostro Paese.

I nuovi fascismi, infatti, costruiscono consenso raccogliendosi intorno a nemici comuni, appoggiandosi su rivendicazioni e malesseri diffusi: i migranti, il diverso, l’escluso, fino allo Stato. L’odio lega tutto nei nuovi fascismi e rende la violenza nuovamente di moda. E a differenza di 80 anni fa questi nuovi fascismi non combattono le istituzioni democratiche bensì le piegano, le influenzano, spesso arrivano persino a governarle.

Come reagire, quindi?

C’è un piano ideale, quello che ci impone di ricordare ciò che è accaduto, ciò che si potrebbe ripetere. Quello che ci fa sostenere con convinzione che nel conflitto tra due parti, una era e rimane quella giusta, l’altra quella sbagliata. Una quella della libertà e della democrazia, l’altra quella dell’ingiustizia e della violenza.

Quindi, cara Donazzan, non si discute tra cosa scegliere tra “Faccetta nera” e “Bella ciao”. Ha già scelto la storia e noi siamo qui a ricordartelo.

Ma poi c’è il piano della politica. Il populismo si fa somma di tante solitudini e raccoglie le preoccupazioni delle persone, spaventate da un modello sociale ed economico in crisi e dalla fine dell’utopia democratica e progressista del secolo scorso. E offre la pulsione identitaria e l’idea di una politica potente come le più grandi armi di autodifesa che i cittadini cercano.

Non basterà, dunque, seppur necessario, il richiamo ai grandi principi di solidarietà e democrazia che avevano unito l’Italia e l’Europa dopo i regimi dittatoriali del novecento a frenare l’onda nera. Serve costruire una politica in grado di riconoscere quelle paure e quelle preoccupazioni, capace di offrire soluzioni ai bisogni delle persone.

Solo così, personaggi come la Donazzan verranno messi ai margini della scena politica e della nostra società.