«Il neofascismo si chiama sovranismo, chiusura dei porti, riduzione quasi allo stato di schiavitù dei migranti in porti lontani. I vecchi vizi si ripresentano sotto vesti diverse. E l’indifferenza è il loro principale alleato».
Vanessa Camani, capogruppo del Pd in Consiglio regionale, è reduce dai festeggiamenti del 25 Aprile («ovviamente sobri», ironizza) ed esprime timori per il clima in cui si è svolto l’ottantesimo anniversario della Liberazione. A partire proprio da quella «sobrietà» invocata dal Consiglio dei ministri in concomitanza con i 5 giorni di lutto nazionale per la morte del Papa.
Come ha interpretato quell’invito?
«Intanto non ho mai visto celebrazioni del 25 Aprile smodate, è sempre stata una giornata di riflessione e ricordo, di monito per il futuro. A voler essere buoni mi è parso un richiamo superfluo, a voler essere malevoli un tentativo malriuscito di limitare la necessità urgente di celebrare questo anniversario».
Tuttavia la premier Giorgia Meloni, ieri, ha dichiarato di aver voluto rendere «onore ai valori negati dal fascismo».
«Speriamo ci creda davvero. Del resto il 25 Aprile è una festa nazionale, non della sinistra. Se Meloni ritiene fondamentali la libertà di pensiero, di parola, la possibilità di esprimere dissenso, di garantire rappresentanza e libertà a tutte e tutti, in questo contesto storico sarebbe una buona notizia».
Eppure il 25 Aprile resta divisivo. Perché?
«Sembra che questi 80 anni siano serviti a farci dimenticare cos’è il fascismo ma non a incrementarne gli anticorpi. Nella nostra Regione una parte rilevante dei leader leghisti ha festeggiato San Marco, ricorrenza religiosa importante ma che non ha nulla a che fare con le celebrazioni laiche che riguardano la nostra Repubblica. Festeggiano San Marco senza scrivere una parola sulla festa nazionale della Liberazione: forse abbiamo un problema culturale prima ancora che politico ».
Secondo un sondaggio il 13% degli interpellati si ritiene «fascista». Anche la percezione del fascismo come «rischio» pare sia calata di oltre 10 punti rispetto a un anno fa? Cosa sta succedendo?
«Stiamo assistendo a una normalizzazione della contrazione delle libertà, ci stiamo disabituando alla partecipazione, accondiscendiamo all’individualizzazione. Qualcuno molto più importante di me ha detto che l’alleato più forte dei regimi autoritari è stata l’indifferenza».
A breve ci saranno le elezioni regionali. Come vi state muovendo, anche con i 5 Stelle? Stavolta ritenete di avere chance di vittoria?
«Beh questo lo vedremo a urne chiuse. Ma il centrosinistra ha la responsabilità di raccontare un punto di vista alternativo al Veneto di oggi, che parli di uno sviluppo più inclusivo, di lavoro, di giovani, che accorci le diseguaglianze che in 15 anni si sono allargate, e che voglia investire su sanità e scuola. Abbiamo attivato un tavolo largo e coeso, puntiamo non a un cartello elettorale ma a un’alleanza programmatica e sociale. Zaia ha finito la sua stagione e il Veneto è ad un bivio».
E chi incarnerà il post Zaia?
«Non è il mio compito far nomi, lascio la discussione ai gruppi dirigenti».
